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2045

12 febbraio 2011

scritto da Luca Sofri per Wired

Gli uffici della Kurzweil Technologies sono ai margini di una cittadina di ventiseimila abitanti pochi chilometri a ovest di Boston, equamente attraversata da parchi e autostrade. Tra i ventiseimila ci sono Steven Tyler degli Aerosmith e diverse leggende dei Boston Celtics e dei Red Sox, ma la storia locale può andar fiera anche di aver visto crescere Sylvia Plath e di Vladimir Nabokov, che insegnò qui al college tra il 1941 e il 1948. Alle ultime elezioni gli elettori di Obama furono il doppio di quelli di McCain, nella lunga tradizione liberal dell’area di Boston. Le sue celebri istituzioni universitarie dall’attitudine storicamente progressista, consegnano a queste graziose magioni molti residenti, sotto forma di professori di Harvard o dell’MIT (pronuncia corretta: èmaitì, da cui l’uso della preposizione apostrofata).

Dal centro di Boston, è una mezz’ora di piacevole viaggio in metropolitana: la metro di Boston – la T – è come molte cose di Boston antica e sonnolenta, e molto poco sotterranea. In anticipo sull’appuntamento convenuto a un’ora che per noi aspiranti suicidi per errata alimentazione sarebbe quella del pranzo, entro in uno Starbucks ai margini di un laghetto e compro un panino al tacchino e un succo d’arancia. Tiro fuori il librone giallo, e mi siedo a un tavolino vicino a un’anziana coppia con un cane. Apro il librone giallo – che ho finito di leggere la notte prima – al capitolo 11: “Un articolo pubblicato nel 2008 sul prestigioso Journal of the American College of Cardiology sostiene che il danno per le vostre arterie comincia già dopo un solo pasto poco sano (per esempio cheeseburger, patatine, e una bibita gassata)”.

Non si parla di tacchino. Patatine non ne ho prese. Il succo d’arancia non vale bibita, anche se avrei fatto meglio a frullare dei mirtilli (come suggerito a pagina 303). Chiudo il librone giallo. Si chiama “Transcend”. Sottotitolo: “Nove tappe per vivere bene in eterno”. Living well forever. Un lettore ignaro che lo trovasse sugli scaffali di una libreria potrebbe pensare che quel “forever” sia un modo di dire, un riferimento alla lunghezza di tutta la propria vita. Invece il manuale di Ray Kurzweil e Terry Grossman si riferisce letteralmente all’eternità: per sempre. Rimetto nello zaino il librone giallo e mi incammino verso l’ordinario edificio che ospita la Kurzweil Technologies, un prefabbricato di quattro piani nobilitato solo dalla elegante grafica modernista con il nome della via e il civico esposti sul fronte strada

Non ero venuto da Ray Kurzweil per parlare di diete e alimentazione: a Wired di solito non ci occupiamo di manualistica salutista. Ma il fascino del librone giallo risiede esattamente nella sua apparente distanza dalla complessità scientifica e straordinaria di cui si era occupato finora il suo autore principale. Mentre lo aspetto – la segretaria mi annuncia che è leggermente in ritardo – mi aggiro indiscretamente per gli uffici: ogni parete e ogni mobile sono affollati da premi, targhe, medaglie, fotografie di Kurzweil con celebrità di ogni genere – Bill Clinton, Stevie Wonder – copie dei film su di lui, edizioni dei suoi libri tradotti in decine di lingue diverse. Soprattutto quello più celebre, “La singolarità è vicina”, in cui l’autore prevede un’accelerazione dell’innovazione tecnologica nei prossimi anni a ritmi impensati da chiunque (esponenziale, o persino esponenziale dell’esponenziale), tali da generare un cambio di paradigma totale, e un cambiamento del mondo imparagonabile con quelli che abbiamo sperimentato finora.

Secondo Kurzweil le intelligenze artificiali diventeranno autosufficienti, quasi onnipotenti, e si fonderanno intimamente con le nostre intelligenze biologiche. Niente sarà più come prima, a cominciare da quel che chiamiamo “vita”, che diventerà quasi totalmente controllabile. “La singolarità è vicina” è un libro di cinquecento pagine, e questo riassunto non gli rende merito: sono pagine di grafici, esempi, storia del mondo, formule scientifiche e analisi di grande logica e chiarezza. Non un’implicazione delle sue previsioni sfugge all’analisi di Kurzweil, dalla coscienza di sé delle nuove intelligenze, al rapporto con l’universo, al concetto di Dio. Oltre a molte previsioni azzeccate sulle nuove tecnologie degli ultimi anni, si incontrano elaborazioni sul futuro affascinanti e stimolanti, ed è uno di quei libri che fa venire voglia di capirne di più e di discuterne con l’autore.

Leggendolo per preparare questo incontro mi sono segnato molte cose, dubbi, obiezioni da fare. Fino a che sono arrivato al capitolo nove – “Risposte alle critiche” – che contiene tutte le obiezioni che mi ero segnato e altre ancora, e tutte le risposte di Kurzweil relative. Ray Kurzweil. Se esiste qualcuno per cui usare quel termine un po’ macchiettistico e semplificatorio che è “genio”, quello è Ray Kurzweil. È fatto a forma di genio. Nella sala d’attesa, di fronte a me è seduto un signore calvo e con una gran barba bianca, elegante, con la pipa in mano. Sulla giacca ha appuntata una targhetta: “inventore”. È un manichino, forse di cera, a grandezza naturale, molto inquietante: ripensandoci, il mio aggirarmi per le stanze credo abbia a che fare anche con lui, seduto là. Chissà chi lo avrà regalato a Kurzweil, in suo onore e scherno.

Raymond Kurzweil è nato nel 1948 a New York da genitori ebrei fuggiti dall’Austria alla vigilia della II Guerra Mondiale. Nella sua stanza, tra i diplomi e le medaglie, è appoggiato a terra il manifesto incorniciato che annuncia un concerto di suo padre Fredric, pianista e direttore d’orchestra, in un teatro di Long Island l’anno che Ray nacque. C’è una foto di Fredric, una bella faccia affascinante e sicura, moro e leggermente stempiato. Morì nel 1970, ma Ray progetta di resuscitarlo, un giorno. Ha messo da parte tutte le sue cose, che potrebbero tornare utili nel lavoro di ricostruzione della sua memoria. I genitori Kurzweil – anche la madre era un’artista – si interessarono alla fede Unitaria, studiando i precetti e le storie di molte chiese diverse in cerca di una sintesi e di radici comuni, e coinvolgendo Ray in questa ricerca. Lui però si appassionò rapidamente alla tecnologia e alla scienza: a quindici anni scrisse il suo primo software, che fu rilevato dalla IBM.

Negli anni successivi applicò lo studio dei modelli – il tema su cui avrebbe lavorato fino a oggi, in ogni direzione – alla composizione musicale, e produsse software e hardware per la produzione di musica. A diciassette anni fu ospite di un programma televisivo e ricevette il suo primo premio come inventore, con tanto di ricevimento alla Casa Bianca (c’era Lyndon Johnson). Dopo il liceo si iscrisse all’MIT e cominciò a produrre sequenze vincenti di software innovativi, società tecnologiche, e accordi con grandi compagnie. Per molti anni lavorò simultaneamente sulla musica e sul riconoscimento vocale (in entrambi i sensi: computer che traducono in testo scritto un contenuto audio, o che “leggono” un testo scritto), producendo sia software che hardware. Il suo primo grande sostenitore – per ovvie ragioni interessato ad ambedue le questioni – fu Stevie Wonder, che vide in tv la presentazione della “Kurzweil Reading machine” e ne acquistò immediatamente un esemplare, nel 1976: da allora fu complice e ispiratore del lavoro di Kurzweil sulla sintesi musicale, e delle sue invenzioni dedicate alla musica elettronica.

In giro per l’ufficio della Kurzweil Technologies ci sono riproduzioni dei suoi primi apparecchi e altri cimeli elettronici. Su una cassettiera di metallo sono invece esposti gli integratori alimentatori prodotti da Kurzweil e dal suo socio Grossman sotto il marchio “Ray and Terry Longevity Products”: decine di boccette di plastica di diverse dimensioni ed etichette colorate. Prendo in mano la confezione da 60 pillole di Resveratrolo, ha l’etichetta rossa, costa 26 dollari e 80 centesimi. Il librone giallo dice che è un elemento prodotto da alcune piante e dall’uva, e presente nel vino rosso. Malgrado si sia dimostrato che può allungare la vita delle mosche della frutta, di alcuni pesci e dei lieviti, Kurzweil e Grossman scrivono che “è ancora troppo presto per sapere se gli integratori di Resveratrolo possano aiutare significativi allungamenti nella durata della vita degli umani”. Ma – hai visto mai – “Ray e Terry ne assumono 50 milligrammi due volte al giorno”. Due pillole dalla boccetta rossa. Kurzweil ne prende ogni giorno altre 248, di ogni genere e colore, tutte descritte nel librone.

“Hai visto mai” è un elemento centrale nella visione di Kurzweil, e quello che attenua lo spaesamento dei profani. Le sue certezze profetiche nella descrizione del futuro sono dissimulate dalla pacatezza degli argomenti, e il suo è un proselitismo garbato, poco battagliero. “Quel libro è una sveglia per le persone della mia generazione, che devono lavorare molto per essere in buona forma per i prossimi 15 anni”, mi dirà dopo, “quando l’aspettativa di vita crescerà di un anno ogni anno. Io ho 61 anni ma i risultati delle analisi dicono che ho un’età biologica di 41. Se riesco a rimanere sotto i 50 per i prossimi 15 anni, potrò beneficiare delle nuove biotecnologie che verranno prodotte in questo tempo” (quando gli parlerò della familiarità che un ascoltatore italiano ha con un caso di esibizione della propria giovinezza biologica e di pretesa di immortalità, Kurzweil mi chiederà guardingo quanti anni ha il caso in questione e se sto registrando – sì – limitandosi quindi a un sorriso).

Sto rimettendo al suo posto il Resveratrolo – era accanto agli Isoflavoni di Soia o alle bacche di Acai? – quando il titolare mi si fa discretamente incontro, scusandosi per il ritardo. Ray Kurzweil non somiglia al manichino: è un uomo stempiato come suo padre, non tanto alto, che porta gli occhiali e parla piano e lentamente. Quando ascolta, guarda spesso in basso o da un’altra parte, intento ad assorbire quel che ascolta e a rifletterci. Mi guida nella sua stanza, dove mi ero solo affacciato nella mia perlustrazione precedente. È un ufficio luminoso e col soffitto basso, gremito di cose intorno alla scrivania e ai due piccoli divani: ancora medaglie e diplomi, ritagli di giornale, disegni di bambini, un grande ritratto su tela di Fredric Kurzweil, molte riproduzioni di gatti sovrappeso (FatKat è il nome della società di investimenti creata da Kurzweil), libri, pile di documenti, trofei, un’antica edizione di “Ventimila leghe sotto i mari”, un paio di piante, dei quadri a soggetto vegetale ai muri e altri quadri appoggiati per terra, tutto piuttosto ordinato ma decisamente esuberante. Al centro della scrivania c’è un PC, poi altri apparecchi e accessori e molti fili che li collegano. Ci sediamo di fronte, sui divani, e Kurzweil mi chiede immediatamente della Singularity University, dove sono stato un mese fa.

All’inizio del 2009 Kurzweil e Peter Diamandis (l’imprenditore spaziale e fondatore del progetto X-Prize che Wired intervistò nel numero di giugno) hanno annunciato la creazione di una sorta di seminario ispirato alla teoria della Singolarità, la “Singularity University”. Non si tratta di una vera e propria università con corsi annuali, ma di un’istituzione che al momento ospita un corso estivo e si appresta ad avviare dei costosi seminari di pochi giorni per manager e amministratori delegati. La Singularity University è stata creata con la partecipazione della NASA e di Google, e la sua sede è all’interno della base Ames della NASA , nella Sylicon Valley. Per il corso estivo dedicato a “laureati e post-laureati” sono stati selezionati 40 curriculum su oltre mille domande. Un gruppo notevolissimo, non tanto di cervelloni, quanto di persone che stanno facendo o hanno fatto cose straordinarie nel campo dell’innovazione tecnologica in ogni parte del mondo (età media: trent’anni).

Di fatto, una sorta di campo estivo , in cui allo scambio di informazioni ed esperienze tra i partecipanti – che hanno convissuto per tre mesi e pagato 25mila dollari – si è aggiunta una fittissima serie di incontri e di lezioni tenute da personaggi di ogni tipo di eccellenza: responsabili della NASA, grandi venture capitalist, presidenti di Google, capi di network televisivi, scienziati, fondatori di internet, inventori, esperti di tecnologie, oltre allo stesso Kurzweil, al centro del network di relazioni e reciproca stima che ha permesso questa impressionante concentrazione di celebrità tecnologiche. Ma le giornate della SU sono state dedicate anche a riunioni, brainstorming e confronti tra gli studenti, costruzione di robot, discussioni di teologia, lancio di missili, partite di pallone ed elaborazione di ogni tipo di progetto: dalle energie alternative ai trasporti alla gestione delle risorse.

Il progetto, raccontato così, fa impressione per densità di contenuti e qualità degli intervenuti (gli studenti cosiddetti erano poi bioarchitetti turchi, consulenti del Ministero della Difesa israeliano, inventori di sistemi di diagnostica medica, progettisti indiani di innovativi sistemi di gestione aziendale, laureati portoghesi in neuronanorobotica, giovani progettisti di Google, studiosi di “chirurgia spaziale e telemedicina”, esperti di computer quantistici). Ma l’elemento di straordinaria efficacia del progetto di Kurzweil e Diamandis sta proprio nell’idea del “summer camp”, della condivisione e dello scambio. La relazione della Singularity University con la teoria che le dà il nome si riduce all’idea che di fronte a un imminente grande cambiamento si debba essere preparati a definirlo, orientarlo e capirlo, ma un accessorio delle visioni di Kurzweil è l’idea che i grandi cambiamenti avvengano nelle zone di contatto tra aree di studio diverse. Salim Ismail, ex vicepresidente di Yahoo e ora direttore della SU, spiega che è questa la grande differenza metodologica con le istituzioni accademiche tradizionali, a cominciare dall’MIT: “Sono strutture universitarie chiuse, dove la ricerca è compartimentata tra settori e dipartmenti che non si parlano tra loro. Noi qui pensiamo che personalità e competenze straordinarie possano affrontare il cambiamento studiandolo assieme sotto i suoi aspetti più diversi”.

Sono percorsi – quello della costruzione di occasioni di confronto e condivisione e quello della dimestichezza con l’esposizione efficace del proprio sapere – di cui ci sarebbe molto bisogno in Italia, pensavo in quei giorni californiani privi del glamour e della pubblicità del TED: tutti in un prefabbricato polveroso con la colazione appoggiata su un banco di formica mentre Trevor Blackwell aveva già cominciato a parlare dei suoi robot umanoidi, o più tardi seduti sul marciapiede davanti al prefabbricato discutendo con John Smart (nomen omen, futurista e teorico del “cambiamento accelerato”) del rapporto con la propria motivazione personale rispetto all’innovazione. Il responsabile dei progetti europei della Singularity University è un italiano di origine ungherese, David Orban, e alla base Ames ha tenuto un’affollata lezione sulla “internet degli oggetti”. Orban sta lavorando alla trasposizione in Europa del modello dei corsi per manager: e al più complicato progetto del corso estivo, per cui in Europa è impensabile una disponibilità geografica in un solo luogo di così tanti protagonisti del cambiamento.

“Il problema delle università è che sono sempre più specializzate, e uno studente può studiare un tipo di neurone per tutta la sua carriera accademica”, conferma Kurzweil. “Noi cerchiamo di avere uno sguardo più ampio e coprire diversi campi, e di trovare le intersezioni tra questi diversi campi. Perché le soluzioni sono lì: nell’applicare l’intelligenza artificiale e le nanotecnologie alla biotecnologia, per esempio. Le soluzioni ai grandi problemi sono sempre più interdisciplinari. E solo con una prospettiva ampia sulla crescita della information technology e su tutti questi campi si possono considerare le implicazioni sociali, filosofiche, etiche e legali di tutto questo e di dove stiamo andando”.

La prospettiva della Singolarità, di un tempo vicino in cui le intelligenze artificiali saranno autosufficienti e creeranno un unico sistema potenzialmente immortale con le intelligenze biologiche ha creato molto interesse nel mondo scientifico, ed è stata molto discussa anche per le sue implicazioni etiche, appunto. Lo studio dei modelli del passato e l’idea che l’accelerazione sarà straordinariamente più rapida di quello che ci aspettiamo sono stati presi molto sul serio da tutti, ma l’affermazione delle intelligenze artificiali nella misura in cui la immagina Kurzweil (in un attentissimo equilibrio tra l’immaginare tendenze e scenari e fermarsi prima di dettagliarli troppo, per non trasformare le previsioni in fantasie) ha trovato molti dubbiosi. Qualcuno la giudica impossibile tecnicamente, qualcuno ne teme le conseguenze e sostiene che gli uomini sapranno tenerla a bada, altri ne temono le conseguenze e accusano di Kurzweil di eccitarsi per quella che invece sarà la fine del genere umano.

Molti non riescono a capire esattamente a cosa alluda – ma lui stesso, appunto, dice di non saperlo esattamente – e questo li spiazza nel giudizio. Altri lo accusano di stare creando una specie di religione senza Dio, un “disegno intelligente per cervelloni”. La stroncatura più lucida e pittoresca è quella di Douglas Hofstadter, il celebre studioso di scienze cognitive divenuto popolare per il suo tomo divulgativo “Gödel, Escher, Bach”. In un’intervista del 2007 Hofstadter spiegò che il giudizio sulle teorie di Kurzweil è un terreno minato: “Propongono una cosa molto confusa, una varietà bizzarra di idee fondate e buone assieme ad altre che sono folli. È come se prendeste dell’ottimo cibo per cani e lo mescolaste così bene con della cacca di cane che poi non si capisce più cosa è buono e cosa fa schifo. Un densissimo frullato di buone idee e spazzatura”.

Hofstadter invitò Kurzweil e altri teorici della Singolarità a un incontro pubblico, qualche anno fa, ma secondo lui si sottrassero a prendersi la responsabilità delle cose più estreme che Kurzweil aveva scritto nei suoi libri. Secondo Kurzweil, al di là delle mille obiezioni di cui si è trovato a discutere, la ragione principale dei dubbi nei suoi confronti è che “le persone sono abituate all’idea della morte, ne hanno bisogno e hanno elaborato complesse filosofie in relazione alla morte: nelle nostre culture la prospettiva della morte dà senso alla vita e la definisce. Non è una cosa che la gente è disposta a credere che possa essere rimossa”.

Mentre spiega, Kurzweil cita continuamente questo o quel capitolo del suo libro e lo apre per mostrarmi i grafici che indicano le curve esponenziali dell’innovazione nella storia del genere umano. Gli chiedo come si confronti col fatto – che lui stesso sottolinea – che “le persone non capiscano che questa svolta sarà molto rapida e rivoluzionerà completamente le nostre vite, diverremo padroni del nostro destino”: la presunzione di averlo capito solo lui non gli sembra un argomento su cui riflettere? È perché si crede più intelligente di tutti, cosa non da escludere? Ma Kurzweil ha una risposta equlibrata su tutto, e riesce a rendere credibile ogni prospettiva con argomenti semplici e documentati. La discussione lo appassiona e fa parte del suo lavoro, accoglie curioso ogni obiezione (salvo quelle di chi “parla senza avere letto i miei libri”): “No, è solo che io studio queste cose da trent’anni. Trent’anni fa anch’io avrei trovato incredibili le cose che ho capito poi. Ho lavorato sui modelli e sulla loro evoluzione come nessuno, e so leggere un corso di eventi e capire che strada prenderà. Non possiamo sapere esattamente dove porterà quella strada, ma possiamo capire in che direzione va. Per il successo di tutte le mie invenzioni è stato fondamentale non solo averle progettate e prodotte, ma avere studiato e capito quale fosse il momento giusto per farlo, arrivare puntuali a quell’appuntamento”.

“Inventare è un po’ come fare surf: bisogna vedere l’onda in anticipo e catturarla al momento giusto”
(La singolarità è vicina, Ray Kurzweil)

Kurzweil ha scritto che nel 2029 i computer saranno in grado di superare il test di Turing, ovvero di dare risposte non distinguibili da quelle di un’intelligenza umana, e che entro il 2045 “la singolarità ci permetterà di superare le limitazioni di corpo e cervello biologico. Otterremo il controllo dei nostri destini. La nostra mortalità sarà nelle nostre mani. Potremo vivere finché lo desidereremo (una cosa leggermente diversa dal dire che vivremo per sempre)”. “A un certo punto l’intelligenza artificiale supererà quella biologica, è inevitabile. La prima cresce esponenzialmente, la seconda è immobile da quando le nostre fronti si ampiarono per accogliere una corteccia cerebrale più grande. Ma saranno in stretta relazione, una sola cosa, non parliamo di un’invasione aliena da Marte”.

(continua qui).

3 commenti

  1. […] Articolo originale: 2045 Share and Enjoy: Tecnologia […]


  2. […] Villa Telesio ne aveva parlato qui. […]


  3. […] teoria della “singolarità tecnologica” (proposta tra gli altri dal matematico Vernor Vinge e dal futurologo Ray Kurzweil), lo sviluppo tecnologico si avvia inevitabilmente ad un punto di rottura in cui le invenzioni […]



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